Processo al Classico

⁃ E ala fine di questo processo sentiamo le ultime dichiarazioni dell’imputato. Prego, venga al banco e declini le sue generalità.
⁃ Si, Vostro Onore. Sono il Liceo Classico, nato a Roma nel 1849 e in seguito riformato e riorganizzato nel 1923 e nel 1940.
⁃ Vuole dire qualcosa prima che questa corte emetta la sua sentenza?
⁃ Si, Vostro Onore; giusto 2 parole.

(Girandosi verso l’aula)

Amici, romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie. Sono qui davanti a voi per difendermi delle vostre accuse. Nel farlo non cercherò di demolire e denigrare i miei colleghi Licei, o tutte le altre Scuole Superiori; non cercherò di esaltare i miei meriti e i miei valori, trovando loro colpe che assolutamente non hanno. Sarebbe una cosa vile e la viltà di certo non mi appartiene. Parlerò quindi solo di me e di come nella mia vita e nella mia storia io abbia esclusivamente cercato di educare il mondo alla bellezza. Quella stessa bellezza che si può trovare solo quando l’uomo si ferma dalle sue attività quotidiane, sicuramente assolutamente nobili e utili, e, lasciando ferme le mani, fa viaggiare il pensiero, cercando con parole, concetti e immagini, di avvicinarsi indegnamente alla divinità.

Una delle accuse che maggiormente mi colpiscono, è di essere ormai superato; di insegnare lingue che i più definiscono morte. Ma queste lingue fremevano di vita quando per la prima volta cantavano l’amore, il valore, la lealtà. Sembra quasi, ed è la loro grandezza, che questi concetti, che di questi tempi peraltro appaiono forse dimenticati, siano stati inventati proprio da quelle stesse parole.

Si dice che io non prepari degnamente al futuro lavorativo i nostri giovani, in un’ epoca in cui la velocità, la tecnologia, e il pragmatismo la fanno da padroni. Ma io non credo che il mio compito sia preparare le persone al loro futuro professionale; per quello ci sono sicuramente istituzioni più consoni e adatte. Io non credo infatti che una scuola debba preparare a qualcosa, ma che debba invece preparare qualcuno. E io ci ho provato, sicuramente anche fallendo talvolta, ma sempre con l’idea fissa che la barbarie dei nostri tempi si possa sconfiggere solo con la capacità di riuscire a guardare oltre l’apparenza. Non sempre mi sono avvalso di insegnanti ed educatori degni del loro compito, e di questo me ne scuso, ma mai rinnegherò l’importanza della cultura di fronte a un mondo che non ha più la capacità di emozionarsi davanti alle passioni umane; e che proprio la compassione, cioè la capacità di condividere queste passioni e questi sentimenti, si insegni innanzitutto tramandando il concetto di bellezza. Portando a esempio scritti, concetti e immagini del passato e addestrando le menti dei nostri giovani ad analizzarli, perché un giorno possano portare quella stessa capacità di analisi anche nel mondo che vedranno con i loro occhi.

Spesso si sostiene che la cultura non faccia mangiare; e forse di questi tempi è anche vero. Ma se alimentare il nostro corpo ci fa sopravvivere, è infatti uno dei bisogni primari per il nostro sostentamento, per imparare a vivere, pienamente, abbiamo bisogno di altro; della capacità di vedere appunto la bellezza dell’altro vicino a noi, e della curiosità di fermarsi ad ammirare il mondo con un occhio che non guardi solo all’utilità ma anche alla grazia che ci sorprende ogni giorno. E proprio questa curiosità, che nasce solo dalla conoscenza, è il primo motore che ci spinge verso l’altro, non vedendolo come qualcosa di diverso da noi da respingere, ma come qualcuno da accogliere. Del resto infatti “fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”. E con queste parole, Vostro Onore, io ho finito

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *