In un giorno di pioggia

L’acqua gli scivolava addosso, incorniciandogli il viso con i suoi capelli, lunghi fino alle spalle, che totalmente bagnati, sembravano ancora più neri di quanto realmente fossero; lui camminava quasi non accorgendosi degli sguardi stupiti di quelli che lo incrociavano, ben protetti dia loro ombrelli; che pensassero pure quello che gli pareva, che gli affibbiassero pure categorie e difetti; in quel momento nulla poteva toccarlo. Il suo dolore era più forte ed era lo scudo perfetto per tutti i loro giudizi. Con gesto automatico, raggiunse nella tasca il suo ipod, e fece partire la riproduzione casuale, divertendosi, come al solito, solo per un attimo, a pregustare ipotetici giochi del destino…e come ogni volta, ad avere conferma, di come il destino non esista. Infatti un brano di pop iper commerciale gli violentò le orecchie, e subito, infastidito, passò alla traccia successiva, già sicuro di dover ripetere l’operazione almeno una decina di volte prima di ritenersi soddisfatto. Una voce di donna, vellutata e lievemente triste, gli solleticò l’udito, con una melodia dal sapore irlandese…”Un giorno di pioggia”, dei Modena City Ramblers. Per un istante pensò che il destino si fosse offeso per la sua scarsa fiducia nelle sua esistenza di qualche secondo prima e che in qualche modo avesse voluto rimarcare il suo diritto di esistere con una piccola dimostrazione….quale canzone poteva essere più azzeccata in quella giornata? La voce del cantante dei Modena si sostituì alla giovane donna (giovane? Chissà perché la immaginava giovane, bionda e di una bellezza delicata), e lui continuò a camminare, ora con un lieve sorriso, che contrastava non poco con lo sguardo duro nei suoi occhi; ma era pur sempre un sorriso, forse il primo da un paio di giorni. Mentre camminava, con i Modena a fargli compagnia, non poté fare a meno di ripensare agli ultimi giorni, alle sue riflessioni amare che lo avevano così violentemente buttato nello sconforto e nella ricerca della solitudine. Non riusciva a ricordare da dove era partito tutto questo, sapeva soltanto che nessuno doveva saperne niente. Per questo era tornato a Roma, senza dire niente a nessuno; aveva bisogno di camminare, e la piccola cittadina dov’è si era trasferito da un paio d’anni non gli garantiva il necessario anonimato; e sopratutto la pioggia non era un ostacolo sufficiente a farlo desistere. Si, all’inizio aveva pensato che forse era da rincoglionito farsi un’ora di macchina soltanto per farsi una camminata, però era riuscito a zittire tranquillamente quella parte di sé ancora rimasta con un briciolo di cervello funzionante. E quindi camminava, senza meta, con in testa solo il ritmo della canzone, che a un certo punto aveva, senza pensarci, messo in riproduzione continua, quasi a volersi far ipnotizzare da quella musica.
Una vibrazione nella tasca dei jeans rovinò quel primo e unico momento di quasi felicità da non sapeva quanti giorni. Rispose automaticamente, intrecciandosi con gli auricolari dell’ipod, e comincio a parlare con suo padre “…si sto bene..tutto a posto…nessun problema….a pranzo da voi a Roma?? Oggi??….no…sto a casa e non vengo a Roma…devo lavorare, sistemare delle cose…si lo so che è sabato, ma la contabilità da sola non si sistema…un altro giorno, si…senz’altro…ciao…”
Non sapeva perché avesse mentito, in realtà gli avrebbe fatto piacere passare dai suoi genitori, non li vedeva da un paio di mesi, ma un brivido strano lo aveva quasi un obbligato a rispondere così a suo padre. Capì che comunque il momento della camminata era ormai finito, e che, bagnato come non mai, non desiderava altro che salire in macchina, accendere il riscaldamento al massimo, nonostante non facesse freddo, e mandare via tutta l’acqua che aveva addosso.
Nel salire in auto si tolse il giacchetto fradicio e lo buttò sul sedile di dietro, mise in moto, accese una sigaretta, come ogni volta che saliva in macchina, e partì, pensando di doversi fermare al primo autogrill a comprare un paio di pacchetti, in sostituzione di quello, ormai quasi vuoto, che aveva in tasca. Guidò automaticamente percorrendo strade imparate a memoria, e imboccò l’autostrada verso l’appartamento che occupava..non riusciva ancora a chiamarlo casa, non aveva neanche lontanamente idea di cosa lui potesse definire casa; prese il pacchetto di sigarette e, nello stesso istante si accorse di quattro cose: il pacchetto era vuoto, l’autogrill era a circa 100 metri, lui correva a 130 km/h e, non meno importante, desiderava disperatamente una sigaretta. Il corpo reagì più velocemente del buon senso e con una manovra da ritiro della patente riuscì non si sa come a entrare in extremis all’interno del parcheggio, mentre clacson strombazzanti, giustamente, gli indicavano altri luoghi più “metafisici” in cui poteva andare.
Con una sigaretta accesa tra le labbra si ricordò del suo telefonino, abbandonato in quel fagotto semiacquoso sul sedile posteriore, che una volta era la sua giacca. Il tempo di prenderlo in mano e si rese conto che stava vibrando, lesse il nome…e un’imprecazione gli salì alle labbra….”Francesco, non dire niente, si lo so, non ti dico stupidaggini, mi sono totalmente dimenticato, arrivo in mezz’ora…giuro, passo a prendere la macchina fotografica e arrivo, scusa, scusa, scusa…”. Dall’altra parte del telefono, una semplice risata e un “ok”..Francesco era così.
Rimontò in macchina, e comincio a correre come un pazzo; si era completamente dimenticato dell’inaugurazione della casa famiglia. Aveva promesso a Francesco che durante lo spettacolo di artisti di strada che lui aveva organizzato, avrebbe scattato delle foto per pubblicizzare la sua compagnia. Doveva smettere di dire sempre si, a tutti. Si pentì immediatamente della promessa, fatta, in realtà solo perché aveva voglia di provare la reflex appena acquistata, e per un attimo ebbe anche la tentazione di richiamare il suo amico e inventarsi improbabili incidenti e contrattempi, per declinare l’impegno…ma nello stesso momento in cui questo pensiero si affacciava, uno uguale e contrario si opponeva..il suo cavolo di senso del dovere, l’importanza della parola data, il mantenere le promesse…ogni tanto la sua etica gli stava proprio sulle palle! Era incapace di dare buca a un impegno preso; ogni tanto pensava che era troppo una brava persona in un mondo in cui non serviva a niente esserlo…poi ripensò al fatto che la sua etica funzionava solo per cose lavorative e similari, e non riguardava minimamente le sue relazioni con l’altro sesso, e l’assoluta nonchalance con cui riusciva a mancare tranquillamente la parola data su particolari insignificanti, quali la fedeltà, il non cercare di rimorchiarsi questo mondo e quell’altro, a volte anche contemporaneamente, gli fece ammettere tranquillamente che, forse, non era propriamente una brava persona, e che alla fine dei conti, per questo mondo era assolutamente perfetto.
Dopo esattamente 37 minuti e circa una decina di incidenti mortali evitati grazie a un Dio che probabilmente aveva molto a cuore la vita degli occupanti delle altre macchine, si trovò di fronte alla casa famiglia, reflex in mano, con un’aria totalmente sfatta e……”…quella chi è? Oddio quanto è bella!” Con lo sguardo cominciò a seguirla, Francesco si avvicinò, gli disse qualcosa, che la sua mente chiaramente non registrò; ovviamente aveva smesso di ascoltare e sapeva per esperienza che non avrebbe ricominciato molto presto. Cominciò a scattare fotografie ai vari personaggi che incontrava ma con gli occhi cercava sempre lei. Minuta con questa massa enormi di capelli ricci neri, su un viso delicato, gli occhi enormi, gli occhi scuri, che lo guardavano,….che lo guardavano??? Assolutamente si…abbassò la nikon, senza interrompere quel contatto, aveva quasi paura di battere le ciglia, e lei sembrava fare lo stesso. Nessuno dei due abbassava gli occhi, sembravano entrambi dimentichi del mondo circostante, come se tutta quella gente avesse organizzato quella situazione con l’unico scopo di farli incontrare. Un mezzo sorriso increspò il viso di lei, e lui interpretò quel segnale come il momento giusto per avvicinarsi, e mentre copriva i pochi metri che li separavano, pensò che anche se avesse soltanto respirato, o mosso un dito, lui lo avrebbe interpretato come il segnale giusto per avvicinarsi…anche l’assoluta immobilità probabilmente sarebbe bastata. Due semplici parole: “Davide” “Giulia”… E poi la diga si ruppe.

Una quantità di parole si riversò dalle loro bocche, un raccontarsi continuo, prima continuando a seguire la festa di inaugurazione, facendo finta ogni tanto che interessasse loro qualcosa, poi, molto naturalmente, da soli su un muretto. Ore passate a raccontarsi 25 anni di vita, racchiusi in un metro, la distanza che li separava. Alzarsi insieme, dirigersi alla macchina, salire come se fosse l’unica possibilità loro concessa, e cercare un ristorante, una trattoria, un qualunque posto, con l’unico scopo di non morire di inedia e interrompere così il flusso di parole. Raccontarsi tutto quello che si ha nella mente, nell’anima, con una fretta, un’urgenza mai provata, come se tutto ad un tratto ti fossi reso conto di avere incontrato l’unica persona al mondo, in tutto il mondo, e 7 miliardi è un bel po’ di gente, che può veramente capirti. E ascoltare, non credendo alle proprie orecchie, non riuscendo a capire come una singola persona possa essere così interessante, e allo stesso tempo, riempirsi gli occhi con la sua bellezza, non riuscire a non fissare ogni piccolo centimetro del suo essere. 1 metro e 65 di puro desiderio. Un movimento di mani lievemente più largo, ovviamente non involontario, ed ecco il primo contatto, poi un altro, e alla fine le dita si intrecciano, si stringono, e poi lievemente, cominciano ad accarezzarsi, mentre ti rendi conto che sono quasi tre ore che passeggiate senza meta, che non conosci il suo cognome, ma sai esattamente quello che ha provato il giorno che per la prima volta ha preso l’aereo per quella gita in secondo liceo. E adesso eccovi qui, un altro muretto, diverso da quello di stamattina, ma sembra che siano passati solo pochi istanti, non sai neanche se in tutte queste ore hai respirato, o se sei rimasto senza fiato da quel primo sguardo…e per la prima volta, silenzio…ora sono le mani a parlare, si stringono, si accarezzano, risalgono sulle braccia, delicate e sensuali; le tue scendono lungo i suoi fianchi, e la fanno avvicinare di qualche centimetro; le sue ti sfiorano il collo, e tu senti i brividi consueti, che scendono lungo la colonna e percepisci l’adrenalina nel tuo corpo, e guardandola negli occhi, intuisci la sua. A un passo di distanza, mezzo passo, un soffio…poi è caldo e fresco insieme, labbra che si schiudono, braccia che si stringono, sentire il suo sapore, sfamarsi di lei, sentire ogni centimetro del suo corpo, e lasciare che lei senta il tuo; continuare a parlare e a conoscersi, con le mani, le labbra… E mentre tu la senti parte di te, il tuo sguardo si posa sul suo, lei si ferma, apre le labbra, e con un sospiro, che sa di voi, che sa di buono, una sola frase, leggera, musicale…:”in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, e il vento dell’ovest rideva gentile….”

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