La scelta del posto

Foto Daniele Anile

Quando sali su un treno puoi fare una scelta: soprattutto se hai la fortuna di trovare la carrozza quasi vuota. Puoi scegliere di sederti verso la tua destinazione, o con la schiena contro di essa. Può sembrare una scelta futile, quasi inutile, dettata solo da un capriccio del momento, o più semplicemente dal caso; oppure può nascondere un piccolo segno del tuo modo di vedere la vita, di percorrerla. Infatti, guardando fuori dal finestrino, distrattamente come capita spesso a me quando viaggio in treno, immerso nei miei pensieri, con una giusta colonna sonora nelle orecchie ad accompagnare il flusso ininterrotto della mia mente, puoi osservare il paesaggio scorrere via, guardando il punto di partenza allontanarsi, rimpicciolirsi lentamente, fino a scomparire dietro montagne, campi e città; oppure puoi concentrarti sulla tua destinazione, vederla avvicinarsi, aspettare quasi che ti sorprenda da un momento all’altro, come quando cammini a piedi per certi borghi medievali, stretti e bui, e di improvviso una piazza ti si apre davanti, e tu sbatti gli occhi, come se quello spazio aperto, inaspettato, fosse come la luce del sole all’uscita di un tunnel. Tu sei su quel sedile e paesaggi nuovi o familiari, ti scorrono davanti, e tu osservi il loro divenire, il loro trasformarsi, l’alternanza dei luoghi; le città che cominciano con le poche case delle periferie fino a esplodere nella foresta di edifici, apparentemente, o spesso volutamente, disordinata; e poi di nuovo le case cominciano a diradarsi lasciando il posto a campi coltivati o a campagne più selvatiche; se il viaggio è lungo può capitare di imbattersi in montagne e laghi, che per pochi istanti entrano nel tuo campo visivo prima che il buio di una galleria lasci solo nei tuoi occhi la luce azzurra di quello che per pochi istanti ti ha fatto aprire la bocca in un respiro di meraviglia. E tu continui a guardare avanti, sapendo che a ogni albero, casa, palo della luce che ti scorre accanto, la tua meta si avvicina; di tanto in tanto ti avvicini di più al finestrino, quasi a provare a sporgerti, per vedere se con la sguardo ti riesce di riconoscere qualche particolare che ti indichi che il tuo viaggio sta per finire. Ti senti un po’ come quei personaggi di quelle storie di viaggi navali che per primi riescono a scorgere l’agognata terra, e questo pensiero ti fa sorridere con un pizzico di vergogna. E mentre sei seduto, riflettendo sui massimi sistemi, o perso in pensieri banali e quotidiani, ogni tanto un riflesso non voluto, magari percepito con la coda dell’occhio, e che ha stuzzicato qualcosa in un neurone sperduto nel tuo cervello, attira la tua attenzione; ti volti un’istante, a cercare, per capire cosa è stato, e vedi la fine del treno, e più indietro immagini il punto da cui sei partito; lo immagini solo ormai, non puoi più vederlo, perché una miriade di paesaggi diversi hanno riempito lo spazio tra te e lui; può darsi che un sorriso si allarghi sul tuo viso, o banalmente guardi e basta, e il tuo volto non tradisce emozioni, forse perché non ci sono emozioni da tradire. Ti soffermi qualche istante a guardare, interrompendo i tuoi pensieri, o amplificandoli, ma quella posizione è scomoda da mantenere, il collo rapidamente si stanca, e allora appoggi di nuovo la schiena al sedile, sistemi le gambe, un movimento rapido a riavviare la sequenza casuale della tua playlist, che senza pensarci avevi spento mentre ti giravi a guardare indietro, e lo sguardo si perde di nuovo verso la tua destinazione, aspettando di essere ancora sorpreso, o magari solo di essere accolto da paesaggi finalmente familiari.

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