La mia palestra

A volte basta veramente poco per arrivare in un altro mondo. Un po’ come Alice quando attraversa il famoso specchio, a me é sufficiente passare un semplice cancello verde. Già dai primi passi, complice la discesa rispetto al piano stradale, mi rendo conto che qualcosa è cambiato. Il rumore del traffico sembra scomparire, la stessa luce cambia aspetto. Si scende quella rampa e lo sguardo viene automaticamente attratto dagli alberi e dai prati. Per un attimo si resta spaesati. Difficile credere di essere nel centro storico di una moderna città industriale. Il tempo comincia a fare il primo dei suoi scherzi. Capita, quando si ha a che fare con la scherma. Non sarà l’ultimo di questo breve giro. L’ingresso del Circolo Scherma Terni ora è davanti a me.
Ricordo ancora la prima volta che sono passato sotto la tettoia d’ingresso: anche a causa della porta a vetri leggermente incassata nei muri laterali, quasi a formare un piccolo atrio esterno, ho avuto due emozioni contrastanti. Da una parte un senso di accoglienza, in seguito diventato appartenenza, e dall’altro quasi un profondo senso di sacralità. E’ difficile entrare in un posto che ha visto migliaia di persone attraversare quelle stesse porte, per i tuoi stessi motivi, e non sentire un piccolo brivido di gesti che si ripetono sempre uguali, da decenni. E’ un po’ l’emozione che si prova in alcune cattedrali pregne del senso di devozione o in alcuni edifici, che nascondono al loro interno il suono della storia. Ciò che rende questi luoghi così speciali non è solo lo scorrere del tempo, ma l’idea, romantica e allo stesso tempo estremamente concreta, che qualcun altro prima di te, ha percorso quegli stessi passi con le tue stesse emozioni dentro, con le tue stesse aspettative, speranze, a volte illusioni.
La statua di “San Giorgio e il drago” in mezzo all’ingresso, quasi a fare la guardia, sembra un muto custode, pronto a scattare se il tuo comportamento non si rivelasse degno di quel luogo.
Poi ci sono le foto. E quelle sensazioni di poco prima diventano ferocemente realtà. Non puoi non guardare quegli sguardi e non essere sicuro che le atmosfere di pochi attimi prima siano certezze. Da cinquant’anni, quello è il luogo delle emozioni, delle aspettative, delle speranze, e forse anche delle illusioni.
La sala silenziosa racchiude una sua bellezza geometrica. Saranno quelle strisce di metallo tutte parallele, gli apparecchi spenti messi in fila, i rulli nei loro alloggiamenti.
E poi un altro scherzo del tempo. In fondo alla sala, spade, fioretti, e sciabole, tutti allineate in un leggero disordine che sa di movimento. Gli stessi nomi ci portano indietro nei secoli; a gesti e movenze che ci collegano a secoli di storia. Le divise bianche da una parte sembrano vesti più adatte a una liturgia che a uno sport; e tu sai che nel momento stesso in cui, spesso nonostante il caldo, indosserai la tua, qualcosa nella tua mente scatterà, anche solo per un istante. Non riuscirai a vederti solo come un atleta, ma anche come un adepto a qualcosa di più profondo, una sorta di congregazione, che alla pari di altre, possiede i suoi riti, le sue vesti, e i suoi piccoli segreti. Del resto si resta schermidori per sempre, anche quando da anni non si calcano più le pedane.
La sala ora lentamente comincia ad animarsi. I genitori cominciano a portare i loro figli; sono dei bambini, chiassosi, vivaci, come tutti i bambini. Ed ecco che il tempo ci gioca il suo terzo scherzo. I genitori restano fuori; una semplice porta a vetri segna un confine evidentissimo. Loro non sono schermidori; i bambini entrano, e come attraversassero un portale, una piccola trasformazione avviene in loro; il tono della voce si abbassa, i gesti si fanno più leggeri, quasi eleganti. E ognuno di loro, fa una semplice grandiosa azione; si avvicina al maestro, e tende quella mano, in un saluto che fuori di qui sembrerebbe ridicolo compiuto da un bambino, ma che in questo luogo, assume un significato splendido e fondamentale.
E finalmente la giornata può cominciare; qui, e in tutte le sale di scherma del mondo. Dappertutto con le stesse emozioni. È la scherma.

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