Note in punta di fioretto

Niente, sono 2 ore che mi rigiro in questo letto, e il sonno non arriva. Erano anni che non mi capitava. Mi sembra di essere tornato bambino, quando, la sera prima della partenza per un viaggio, l’entusiasmo era tanto che era quasi impossibile addormentarsi, se non quando i primi raggi del sole trafiggevano le persiane chiuse male. Ma in questo caso non capisco la causa di questa agitazione; sono quasi 20 anni che vado in giro a fare gare, ho perso il conto di tutti gli alberghi in cui, normalmente, ma non oggi, mi sono addormentato. E questo non è poi tanto diverso. Stesse lenzuola dozzinali, stessa moquette ormai stanca di essere calpestata, forse solo un po’ di lusso in più. Immagino i miei ragazzi che dormono beatamente nelle camere accanto, ma non li invidio. Prima delle gare il mio animo era una tempesta di emozioni e mi ci sono voluti anni per imparare a non darlo a vedere, a non far accorgere gli altri dell’uragano di paura, nervosismo, ansia che avevo dentro. Sono diventato talmente bravo a fingere tranquillità, che alla fine sono riuscito a convincere anche me stesso.
Niente, ancora sveglio. Ok, passiamo al piano B: il frigo bar…ovviamente vuoto. Vuol dire che oggi faremo guadagnare lo stipendio al portiere notturno. Mi infilo i pantaloni, la camicia e scendo le scale per andare al bar della hall; spero che un martini, bevuto tutto di un fiato, mi intontisca abbastanza. Mi fermo, ascolto. Qualcuno sta accarezzando i tasti di un pianoforte? Una piccola scintilla si accende nel cervello. Una semplice sequenza di due note ha attivato chissà come un impulso elettrico fra qualche neurone, e i ricordi affiorano. Ricordi di estate siciliane caldissime, con nonna seduta impettita sul divano, ad ascoltare me bambino che sudavo su dei tasti bianchi e neri, pigiando più velocemente possibile, per finire prima. Ricomincio a scendere i gradini, lentamente, per non far rumore, e per non farmi perdere neanche una di quelle note attutite. Più scendo e più il suono diventa cristallino. Oltrepasso la hall, scendo ancora, e la scala mi conduce a una porta, simile a quelle di certi vecchi teatri, le maniglie quadrate, in legno. La apro, e una tenda pesante, di velluto, mi sbarra la strada, quasi volesse impedirmi di soddisfare la mia curiosità, con un ultimo strenuo tentativo. Appena la scosto, il suono diventa immediatamente più chiaro, e il brano che nella mia mente era soltanto un ricordo sbiadito che sapeva di sudore e latte di mandorla (quello che mio nonna mi permetteva di bere dopo ore di studio) ora diventa consapevolezza. Stupidamente mi viene in mente quel comico di qualche anno fa che impersonava un improbabile concorrente di quiz televisivi e che ripeteva incessantemente il tormentone “le so tutte!!”, e quindi il il mio viso accompagna con un sorriso la mia mente nell’istante stesso in cui partorisce il nome del brano a cui quelle note splendidamente appartengono:è il primo Notturno dell’opera 27 di Chopin.
I suoni attraversano la sala buia, lentamente li uso per guidarmi, quasi fossero un sentiero luminoso. Intanto gli occhi cominciano ad abituarsi a quella semi oscurità e mi permettono di evitare di scontrarmi contro le sedie ammonticchiate disordinatamente. Sento che sarebbe un peccato mortale violentare questo momento con un rumore improvviso, e quindi mi sposto con una leggerezza quasi innaturale, anche il mio respiro si fa più lieve. Al centro della sala un pianoforte, la fonte del mio piacere, e, chinata su quei tasti, lei. Non sono l’unico a non riuscire a dormire stanotte. Molto probabilmente dovrei essere sorpreso, anche arrabbiato forse. Del resto, lei domani ha una gara, e dovrebbe dormire invece di stare qui, ma stranamente questa idea mi sembra talmente assurda che la scaccio via quasi infastidito. Invece il primo pensiero che mi stuzzica è che forse lei ha trovato il modo migliore di addomesticare quel famoso uragano di emozioni, di incanalarle in un flusso ordinato e melodioso di note. Non riesco più a muovermi, ora c’è soltanto ascolto, attesa, visione. In un solo istante, il tempo di una piccola battuta, mille pensieri si affacciano alla mia anima. La tranquillità di emozioni condivise, il non sentirsi più solo, il sapere che anche in questo io e lei siamo simili. A un certo punto qualcosa cambia; una piccola, impercettibile differenza nel registro del suono, un tocco leggermente diverso. Lei non sta più suonando per se e per i suoi fantasmi, ma sta suonando per me, io sono il suo pubblico privato. Diverso da lei, ma simile a lei. Forse questo è l’unico motivo per cui mi accetta vicino a se. Non so come sappia che io sono qui dietro, ma sono sicuro che lo sa. Ora nelle note c’è qualcosa di diverso, un ‘empatia che prima non c’era. Queste non sono note personali, sono note regalate, donate a qualcun altro. Pochi passi ci separano, e con uno sforzo terribile, decido di percorrerli, perchè so, in qualche parte del mio animo ora calmo, che il mio posto in questo momento solo nostro al mondo, è accanto a lei. La musica scorre senza nessuna esitazione. Non c’e sorpresa, non ha bisogno di vedermi, per sapere che sono io. Sa che non potrebbe essere nessun altro. Non riconosce l’odore, o chissà che altro. È il tocco della mia anima, che sfiora la sua, che riconosce. Che lei accoglie, senza paura. E come se insieme stessero suonando una melodia che neanche il genio di Chopin poteva mai riuscire anche solo a immaginare. É come se il battito del cuore per un istante cambiasse tono, come se non vibrasse più da solo, ma n risonanza con qualcun altro. Lo senti, ma non sai spiegare il perché, puoi soltanto goderne. È piacere allo stato puro, una serenità che niente altro al mondo ti può dare. Il sapere che non sei solo, che esiste fra le 7 miliardi di persone che affollano questo sasso lanciato nell’universo., un essere che in quel momento preciso prova le tue stesse identiche emozioni. Prima delle ultime note, una piccola incertezza, un piccolo brivido di paura, il timore che con l’eco dell’ultima nota, possa scomparire quella pace e quell’unione. Ma mentre l’ultimo accordo si poggia su quei tasti, nel profondo del cuore, in qualche sperduta cellula del tuo corpo, senti, e non potrebbe essere più chiaro, che la vostra melodia, non potrà mai essere contenuta in 88 tasti.

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